Mostra a cura di
Brigit Blass-Simmen, Neville Rowley, Giovanni Carlo Federico Villa
Allestimento
Mario Botta
Realizzazione allestimento e progettazione apparati informativi
We Exhibit
Due dipinti, identici nella struttura compositiva, realizzati da due grandi artisti del Rinascimento, Andrea Mantegna e
Giovanni Bellini.
Due opere geniali, uguali eppure diverse.
Affascinante, per un profano, cercare le differenze tra le due Presentazioni di Gesù al Tempio, eccezionalmente affiancate
nella raffinata mostra proposta dalla Fondazione Querini Stampalia, a Venezia.
Progetto promosso dalla Fondazione Querini Stampalia e dalla Gemäldegalerie di Berlino con la collaborazione scientifica della National Gallery di Londra.
È la prima volta che s’incontrano, in tempi moderni, la tempera su tela del Mantegna, della Gemäldegalerie di Berlino, e l’olio su tavola del Bellini della Querini Stampalia.
“È l’effetto – sottolinea Marigusta Lazzari, Direttore della Querini Stampalia – di una di quelle alchimie che di tanto in tanto si verificano nella storia. Nel nostro caso, l’impossibile è diventato possibile nel dipanarsi della complessa trattativa che ci ha portato a concedere il prestito del nostro Bellini alla grande mostra su Andrea Mantegna e Giovanni Bellini, che il 1 ottobre 2018 aprirà alla National Gallery di Londra per poi trasferirsi alla Gemäldegalerie di Berlino il 1 marzo 2019. Il raffronto tra le due “Presentazioni al Tempio” sarà il fulcro di queste esposizioni. Alla nostra disponibilità ha corrisposto quella dell’istituzione berlinese e così, in anticipo sulla rassegna londinese, abbiamo l‘emozione di presentare al pubblico italiano e internazionale, in Querini, i due capolavori finalmente affiancati”.
Ma cosa induce un pittore a far proprio uno schema compositivo utilizzato da un altro artista?
“Sarebbe sbagliato – chiarisce Giovanni Carlo Federico Villa, co-curatore dell’esposizione – immaginarli l’uno accanto all’altro, intenti a dipingere questo medesimo soggetto. Certo la composizione stregò entrambi, ma un lasso di tempo non piccolo separa i due capolavori”.
Andrea Mantegna trascorre i suoi anni giovanili di formazione e di attività a Padova, mentre Giovanni Bellini lavora per tutta la vita a Venezia, sua città natale.
I due maestri sono uniti anche da legami familiari: Andrea Mantegna sposa Nicolosia, la sorella di Giovanni Bellini.
La composizione dev’essere stata concepita nella bottega padovana del Mantegna. La sua Presentazione precederebbe l’altra di una ventina d’anni. Andrea e Nicolosia si sono sposati da poco, nel 1453. Sembrano loro due, Mantegna e la moglie, i personaggi che chiudono la scena sui lati. Forse è un figlio atteso o appena nato ad averla ispirata: una sorta di affidamento augurale in uno stato d’animo comune ai genitori, di fiducia e trepidazione.
Maria, umanissima Madre, quasi non si vuole separare dal Bambino, come facesse resistenza al compimento del destino di tragedia e di gloria del Cristo, che il vecchio Simeone le prospetta con il Vangelo di Luca: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti… E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.
Le fasce che avvolgono Gesù sono quelle del neonato, ma evocano croce e sepoltura. Giuseppe tiene lo sguardo sul profeta, turbato e grave. Assiste in secondo piano, però centrale: è la parte che gli è toccata nella Storia della Salvezza, di custode silenzioso.
La versione veneziana di Giovanni Bellini si allarga a far spazio ad altre due figure laterali, sulla cui identificazione la critica non ha ancora detto la parola definitiva.
La Presentazione del Mantegna è un poderoso 4/3, quella del Bellini un cinematografico 16/9. Pare un tributo d’affetto questa “foto” di famiglia – un po’ più affollata – intorno alla Sacra Famiglia.
Giovanni dallo stile di Andrea si distanzia nettamente. Mantegna chiude il racconto in un poderoso riquadro marmoreo.
Aureole, barbe, stoffe preziose hanno una ricercatezza calligrafica ancora gotica. I colori sono contrastati, il cuscino esce dal dipinto. Ulisse Aleotti, sul finire del Quattrocento, scriveva di lui che “scolpì in pictura”.
La rivisitazione che ne fa il Bellini è levigata dalla luce su un’ampia gamma di rossi. La cornice è scomparsa. Resta solo un parapetto in pietra. Così lo sfondo nero si dilata e il gruppo vi si staglia, guadagnando in enigmatica astrattezza, in modernità.
La tavola, attestata nell’inventario Querini Stampalia dal 1809, è attribuita ormai concordemente a Giovanni Bellini.
Quando, due secoli fa, entra a far parte delle collezioni, è inventariata come opera di Andrea Mantegna anch’essa.
Deve a lui la solidità dell’impianto. Bellini la reinventa, unendo a una classica compostezza quella tensione sperimentale che l’avrebbe accompagnato fino alla fine.
Sala dopo sala si ha l’emozione di entrare nell’universo di una delle più potenti e illustri famiglie veneziane, di ammirarne i tesori artistici, i preziosi arredi. Nel museo d’ambiente mobili settecenteschi e neoclassici, porcellane, biscuit, sculture, globi e dipinti dal XIV al XX secolo, per lo più di scuola veneta, tramandano l’atmosfera della dimora patrizia tra specchi e lampadari di Murano e stoffe tessute su antichi disegni.
Tra le opere esposte, pitture di Lorenzo di Credi, Jacopo Palma il Vecchio, Bernardo Strozzi, Luca Giordano, Marco e Sebastiano Ricci, Giambattista Tiepolo, Pietro Longhi, Gabriel Bella.
La mostra è insieme un dialogo avvincente fra due maestri del Rinascimento e una scoperta o riscoperta del patrimonio della Fondazione, istituita nel 1869 per lascito dell’ultimo Querini, Giovanni, perché potesse “promuovere il culto dei buoni studi e delle utili discipline”. Si prepara a celebrare il centocinquantesimo con le sue raccolte, la biblioteca, gli innesti architettonici, progettati nell’arco degli ultimi cinquant’anni da Carlo Scarpa, Valeriano Pastor, Mario Botta.
E’ a lui che la Querini Stampalia ha affidato l’allestimento di questo ‘magico confronto’. L’architetto ticinese si misura per la prima volta con una mostra incentrata su due sole opere. L’esposizione trova spazio nelle ultime tre sale della casa museo e diventa la summa dell’intero percorso espositivo.
I due quadri sono disposti su due piani convergenti al centro, in modo da guardarsi l’un l’altro, stabilendo quindi un dialogo silente cui gli spettatori possono assistere.
Utilizzando luce proiettata e non più riflessa ERCO, azienda specializzata in illuminazione per l’Arte, adatta la distribuzione luminosa alle caratteristiche e dimensioni delle opere con fasci precisi, dai contorni morbidi e sfumati.
La luce digitale, a sorgente LED selezionata singolarmente e ad alta restituzione cromatica, permette la regolazione dell’intensità luminosa e di calibrare con precisione i valori di illuminamento prescritti al fine di preservare le opere nel tempo.
Ne scaturisce una fruizione che induce a far scoprire al visitatore, con un elemento così intangibile ma delicato e importante come la luce, i dettagli più minuti delle due tele.
A questa sorta di ‘epifania’ si arriva preparati. Le due sale introduttive presentano un singolare allestimento che articola il percorso intorno alla suggestione del Bambino in fasce, già prefigurazione del corpo adulto, straziato del Cristo, stretto nelle bende funebri.
La stoffa, posta su pannelli didascalici a tutta altezza, si dipana in tre “nastri”: scorrono paralleli raccontando l’ambito storico, le biografie, ma anche i temi trattati nei due dipinti. Quello superiore e quello inferiore narrano distintamente di Bellini e di Mantagna, quello centrale restituisce le vicende in comune e offre elementi di lettura e di confronto delle due opere.
Un triplice racconto che si stende sotto gli occhi del visitatore e richiama idealmente nel suo ‘svolgersi’, come i rotoli della Scrittura, il compimento della storia della Salvezza.
In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo edito da Silvana Editoriale, in italiano e inglese, con saggi di Brigit Blass-Simmen, Caroline Campbell, Babet Hartwieg, Neville Rowley, Babet Trevisan, Giovanni Carlo Federico Villa.