Fotografie di Giuliano Francesconi; mostra a cura di Mauro Passarin
Nessun intento “celebrativo”, nessuna carrellata di “memorabilia”. In questa mostra ci sono “solo” potentissime, stranianti immagini di oggi. Realizzate da Giuliano Francesconi secondo i più sofisticati canoni dello still life, esplose a grandissime dimensioni. Immagini scabre, rugginose, vere. Avvolgono e sovrastano il visitatore, sapientemente inserite da Mauro Zocchetta in uno spazio sotterraneo. E’ uno spazio di Palladio e quindi bellissimo. Come erano bellissime certe giornate in alta quota sulle montagne del vicentino. Uno spazio protettivo ma aperto, esattamente come lo erano i dedali di trincee che solcavano le balze dei monti dai nomi tragicamente celebri: Ortigara, Pasubio, Cimone, Cengio, Grappa…
I Sacrari che connotano questi luoghi “Sacri alla Patria” testimoniano, con i loro alveari di loculi, ciò che quella Patria richiese.
“Dei 4 milioni e 200 mila uomini che furono impegnati in guerra, 3 milioni e 300 mila si misurarono sul fronte vicentino, sottolinea il vice Sindaco di Vicenza, Jacopo Bulgarini d’Elci. Se poi si aggiungono gli “Alleati” qui impegnati, il numero sale a 3 milioni e mezzo. Nei 41 mesi di guerra, il terrore, la distruzione, l’attesa della morte, la perdita della libertà, il buio, la fame, l’ansia di guardare il cielo e l’orizzonte, furono condizioni vissute anche dalla grande maggioranza dei vicentini. Giusto perciò ricordare, onorare ma senza celebrare, una guerra che sterminò buona parte di una generazione di giovani in Europa”.
La mostra, promossa e concepita dai Musei Civici di Vicenza, grazie al Museo del Risorgimento diretto da Mauro Passarin, che ne è anche l’ideatore e il curatore, immerge il visitatore dentro quella terribile pagina della storia mondiale.
Certo qui non c’è il fango, non aleggia il fetore degli escrementi e dei corpi in putrefazione, non si gela dal freddo, non si crepa di fame e sete, non aleggiano
nuvole di gas asfissiante. Non si è riparati e costretti da file di reticolati. Soprattutto qui non si consumano corpo e anima nell’attesa di un ordine che ogni volta può essere l’ultimo.
Qui, nel ventre più segreto del sontuoso Palazzo Chiericati che sta riaprendo tutte le sue porte e le sue collezioni, nella città Gioiello del Rinascimento, regna il silenzio. Allora ogni sibilo, ogni boato, poteva significare la fine.
Eppure questa mostra ha una potenza evocativa che forse nessuna altra del Centenario è riuscita ad ottenere. Forse perché nessuna mostra come questa è nata dal ventre – martoriato e rappacificato – della terra, per esplodere nell’arte.
Questa è una mostra di emozioni, di verità, che – come opportunamente sottolinea il sottotitolo – fanno realmente “Vivere la Grande Guerra”. E’ una mostra che ti sommerge, inquieta, che non lascia indifferenti perché trasforma una “epopea,” conosciuta dai più solo attraverso i libri di storia, in quello che la guerra in realtà fu: “Ferro, Fuoco e Sangue”. E Morte, desolazione, violenza fisica e psicologica.
“Capire l’Europa del 1914 – ‘18 è indispensabile per intendere quella del 2016. Non è possibile capire se cammini eretto là dove loro sono andati strisciando come vermi. Non puoi, se porti scarpe asciutte e vestiti puliti‘‘. E qui è evidente la terribile verità dell’affermazione di Paolo Rumiz.
Per questa mostra molti volontari si sono spinti tra Pasubio, Altipiano e Grappa, là dove la guerra fu più feroce, per raccogliere ciò che la terra, disgelo dopo disgelo, continua a restituire.
Per anni sepolti nella terra intrisa di sangue, queste disiecta membra, così offese e irrimediabilmente segnate dal tempo, inizialmente prive di una propria fisicità, sono state riunite, guardate, osservate e studiate dallo storico – Mauro Passarin – e dall’artista – Giuliano Francesconi – e infine accordate e associate secondo la conoscenza e la sensibilità di entrambi.
Sono schegge di quei campi di battaglia, che ancora a distanza di un secolo lasciano germogliare come stelle alpine, boccioli di granate e di gavette, come una nuova fioritura dopo il disgelo; come se la guerra fosse definitivamente entrata nel processo naturale di quei luoghi.
I materiali, tutti frammenti di oggetti utilizzati durante il primo conflitto mondiale e raccolti sulle montagne vicentine, sono dal fotografo restituiti al contemporaneo con straordinaria sensibilità, con un’armonia e una bellezza che induce a meditazioni e a riflessioni profonde sugli errori-orrori della guerra.
L’artista, con la sua macchina fotografica ha riscattato quegli oggetti, prelevando dal loro nullo potenziale una nuova dimensione, un significato forse inedito che aiuta a scardinare la storia e a farci entrare nelle viscere delle trincee.
Questi oggetti dilaniati dalla guerra rompono allora ogni legame con l’uso cui erano destinati, per essere trasfigurati in qualcosa al di fuori del tempo e dello spazio convenzionale, impongono qui la loro singolarità offrendo al pensiero nuovi spunti e informazioni.
Questi frammenti: maschere antigas, matasse di reticolati, spuntoni, tubi esplosi dalla nitroglicerina, un cucchiaio formato da un proiettile, pinze per tagliare i reticolati, gli occhialini contro il riverbero della neve, vecchie suole di scarponi, baionette, elmetti deformati, una fila di piccole bottiglie che il fuoco nemico non ha rotto ma piegato… oggetti qualunque, esplosi in mostra a grandissime dimensioni, trascinano il visitatore in un mondo altro, popolati di potenti, terribili “fantasmi” di ferro e fuoco. Un mondo che ha intriso di sangue le pietre di queste montagne e segnato di rosso i ghiacciai e la neve di queste montagne.
L’iniziativa è del Comune di Vicenza in collaborazione con la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona e di Aim Gruppo.
Catalogo Silvana Editoriale
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Testi Allegati
Vicenza, Gioiello del Rinascimento. Invito a PalazzoImmagini
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